Uno dei dipinti più scuri di Salvador Dali. La scena dell’azione è il deserto tanto amato dall’artista. Ma, a differenza della maggior parte delle tele “desertiche” di Dalì, la gamma di colori qui è completamente diversa.
Non c’è un contrasto accattivante di azzurro con l’oro. La sabbia nera si estende fino all’orizzonte. Il cielo senza nuvole si sbiadì dalla foschia afosa.
Una minuscola macchia di vernice bianca – una leggera nuvola di piume nell’angolo – sottolinea solo l’inesorabile vuoto del cielo.
Una pietra sorge all’orizzonte: una scogliera o un obelisco. L’atmosfera opprimente dell’immagine spinge lo spettatore a vedere una pietra tombale in questa pietra.
In primo piano, in un punto luminoso, giace il corpo di una donna. Il nome dell’immagine sembra una beffa: nessuna immaginazione permetterà di vedere dormire in questa donna. La donna è decisamente morta e morta da molto tempo. Il suo corpo è stato distrutto dalla corruzione.
Giace con le spalle allo spettatore. Il cranio è mezzo nudo, i resti di capelli dorati sparsi sul terreno intorno alla testa, che si apre con una ferita spalancata; i vermi e le lumache strisciano dentro.
Lo spettatore non vede completamente il corpo: la parte inferiore del corpo è tagliata con il bordo dell’immagine. Dietro lo stesso bordo c’è un albero inaridito, un cui ramo è allungato su una donna sdraiata. La mano del dormiente è legata ad un albero con una corda avvolta attorno a un polso sottile.
Questo paesaggio senza vita è un trionfo della non esistenza: il triste risultato, al quale arrivano tutte le cose. Deserto morto, albero morto, donna morta. E la curiosità dei bambini dell’artista che esplora la distruzione del corpo umano con la stessa curiosità con cui in passato ha aperto con un bastone le carcasse mangiate dai vermi di animali morti.