Allievo della scuola di pittura bolognese, Domenichino nel suo lavoro ha affrontato il patrimonio di artisti del Rinascimento. E se percepivano l’antichità come qualcosa di vivente, allora gli accademici – come “elaborati” dai maestri del Rinascimento.
Da qui la presenza nelle opere di Domenichino sulle trame mitologiche dell’inizio del gioco, che in questo caso corrisponde alla trama del dipinto “La caccia di Diana”. La tela fu commissionata dal pittore cardinale Pietro Aldobrandini per una villa a Frascati.
L’artista ha interpretato le ninfe con precisione nelle riprese, in modo simile a quanto descritto nell’Eneide dell’antico poeta romano Virgilio. Una freccia dovrebbe avere noriacib in un albero, la seconda in un nastro e la terza in un uccello in volo. Diana, avendo dimostrato le sue abilità, non nasconde la sua gioia scuotendo l’arco e la faretra in aria, mentre la ninfa a sinistra scruta il bersaglio, tirando la corda.
Un’altra ninfa, al centro, trattiene un levriero, pronto a correre verso qualcuno nascosto dietro rigogliosi cespugli.
Quindi nella foto c’è un motivo del mito su Acteon, che vide una Diana nuda che nuotava, che la fece arrabbiare: trasformò il cacciatore in un cervo e i suoi stessi cani lo strapparono. Ma Domenichino ha solo un accenno al mito e alla sua drammatica collisione, quindi l’atmosfera della tela rimane leggera.
Lo spirito giocoso che regna nell’opera è espresso al meglio da due giovani ninfe in primo piano, sedute in un ruscello. Uno di loro, che è già entrato nel tempo della fioritura corporea, guarda ancora infantilmente innocentemente lo spettatore, il secondo indica in lontananza con una sorpresa infantile. Queste due figure femminili collegano lo spettatore a ciò che sta accadendo sulla tela.