I dipinti del Vangelo biblico dei primi Rembrandt sono intrisi di un movimento tempestoso, pieno di pathos eccessivo. Furono creati dal maestro sotto l’influenza dell’arte barocca, che ebbe origine all’inizio del secolo in Italia e si diffuse in tutta l’Europa occidentale.
Tra le migliori opere del periodo di Leida è il dipinto “Cristo e i discepoli di Emmaus”, scritto da Rembrandt intorno al 1629 e ora in una collezione privata a Parigi. È stato creato dopo la famosa leggenda evangelica, che narra di uno dei miracoli di Cristo risorto dopo la sua morte. Su una strada rurale, una persona sconosciuta si unì ai due discepoli viaggianti di Cristo.
Raggiungendo la città di Emmaus, meta del loro viaggio, i viaggiatori si sedettero per mangiare. E in quel momento, quando uno sconosciuto con un gesto particolare spezzò il pane, gli studenti stupiti lo riconobbero come il loro insegnante. Maestosamente appoggiato allo schienale della sua sedia, Cristo sovrasta orgogliosamente tutti coloro che lo circondano.
Dalla sua figura grande e sicura di sé soffia una forza irremovibile. L’artista interpreta la radiosità che emana da lui come la luce di una fonte invisibile, protetta dallo spettatore dal corpo di Cristo.
Sullo sfondo di un muro disincarnato, che sembra dissolversi in piena luce, senti particolarmente il potere espressivo della sua silhouette. A differenza dell’eroe del dipinto del Louvre sullo stesso tema, creato da Rembrandt diciannove anni dopo, Cristo non richiede compassione, ma ammirazione. I discepoli sono sopraffatti e sopraffatti dal suo potere.
Uno, lasciando cadere la sedia con uno schianto, cadde freneticamente sulle ginocchia e sulle gambe, un altro sollevò le braccia, fece sussultare e indietreggiò. L’oscurità che regnava in giro sembrava contenere qualcosa di incomprensibile, quasi sinistro.