In questo dipinto, Vittore Carpaccio si rivolse al tema dell’esperienza mistica che era particolarmente preoccupante per i pittori veneziani dell’epoca. L’artista ha raffigurato i morti, con mani, piedi e ferite perforate nel fianco di Cristo, le cui sofferenze si riflettono nei santi Girolamo e Giobbe.
Jerome si siede, immerso in se stesso, premendosi una mano sul petto, Giobbe pensa ad alta voce, mettendo le gambe in piedi e gesticolando. In questi personaggi, nelle loro posture viventi, si può vedere l’abilità di Carpaccio, che ha creato tele multi-figurate riempite con il movimento di vari attori.
“Riflessione sulle passioni di Cristo” porta l’influenza di Andrea Mantegna, che si esprime in una scrittura asciutta e chiara, l’abbondanza di pietra, l’ascetica esteriore e potenti personaggi interni. Ma in questo lavoro è evidente l’influenza del veneziano Giovanni Bellini con il suo amore per lo stato contemplativo e il complesso simbolismo dei dipinti. E l’opera del Carpaccio è piena di simboli.
Il trono di Cristo mezzo rovinato, le montagne pietrose a sinistra, l’albero secco, il teschio e le ossa ricordano la vana vita sulla terra.
Si oppongono a una fertile valle e alberi verdeggianti, nonché a un uccello che sale sopra il trono – un simbolo della Resurrezione. Dal piedistallo di marmo, su cui giacciono due libri, uno dei quali è aperto, pende un rosario – un simbolo di preghiera, che ricorda come una persona può essere salvata.