Questo dipinto, insieme ad altre tre opere di Paolo, appese alla parete opposta nell’edificio della galleria di Dresda, costituisce una serie. Tutte e quattro le opere furono scritte nel 1571 per ordine della famiglia patrizia veneziana Kuchchin, fino al 1645 furono nel palazzo di questa famiglia a Venezia, da dove furono acquistati i dipinti per la collezione di Modena, e poi arrivarono a Dresda.
L’immagine è chiaramente divisa in due parti: nella terza sinistra, la Madonna con il bambino siede sul trono, circondata da Giovanni Battista con una bandiera e un agnello e San Girolamo con un libro, un leone e un angelo. Questa metà dell’opera risale alla titanica Madonna Pesaro del 1526, la composizione asimmetrica di cui Veronese usò più di una volta, in questo caso i membri della famiglia Kuchchin “abitano” a destra. Due terzi del quadro sono forniti a questa famiglia, che si avvicina umilmente in ginocchio a Madonna, accompagnata da tre figure allegoriche femminili delle principali virtù cristiane: Fede in una veste bianca con una tazza in mano, Hope in Green e Christian Love Caritas, in rosso.
Due colonne di marmo, come un muro, separano nettamente le sfere celesti e terrestri. Rappresentato più vicino a questo confine, come se stesse ascoltando la voce interiore, aspettando un messaggio da un altro mondo. Kuchchina senior, capo della famiglia.
Zouanantonio, in piena crescita accanto alla colonna, suo fratello Alviza con sua moglie Zuana e sette bambini raffigurati in ginocchio, il bambino più piccolo che Alviza tiene in mano un servo che appare a destra. Faith, Hope e Caritas si prendono cura in particolare di Antonio, il fratello minore della famiglia Kuchchyn, in ginocchio a distanza.
Una composizione rilassata e mobile, ritmicamente divisa, sia nel design che nel colore, dimostrando Veronese al top delle sue capacità creative. Nello stesso spazio, l’artista posizionò allo stesso modo sia le figure religiose che i membri della famiglia Kuchchin, spiegando ai nostri occhi un’immagine non solo della ricchezza e dell’orgoglio dei patrizi veneziani della metà del XVI secolo, ma anche della loro pietà.